I medici visitano con i bambini bambole e peluche: «Così conquistiamo la loro fiducia»

Indossano la mascherina contro il Covid. Si nascondono sotto le coperte per non farsi visitare. E quasi tutte hanno mal di pancia, dolore all’orecchio, crampi allo stomaco. Non vogliono fare le flebo, temono gli aghi. Come i piccoli pazienti, le bambole si ammalano e vengono curate dai medici (veri) all’ospedale di Cava de’ Tirreni. «La terapia permette di conquistare la fiducia dei baby degenti», spiega Basilio Malamisura, l’ex primario che l’ha messa a punto, all’inizio solo per convincere una bimba di sette anni a sottoporsi a un trattamento endovena. Superate le cento prestazioni, l’iniziativa ha ottenuto il plauso della Società italiana di pediatria. Poi, il professionista ha esportato il modello nella casa di cura Tortorella di Salerno, dove oggi lavora.

IL METODO

La tecnica fa scuola: viene presentata a studenti e specializzandi, che fanno il tirocinio nel reparto con vista su un panorama mozzafiato. Per Mauro Budetta, il nuovo primario della pediatria con otto posti letto, il gioco resta fondamentale. Oggi più di ieri. «Genitori e figli accedono in corsia solo dopo il test antigenico, obbligatorio per individuare nuovi casi positivi al coronavirus; mentre gruppi di volontari non possono più entrare nella struttura sanitaria per la clown-terapia», sottolinea. A Pistoia c’è un ospedale dedicato già dal 2014, anche se le attività con l’emergenza Covid sono a scartamento ridotto. Il presidio è dotato di un pronto soccorso e di una sala operatoria attrezzata con forbici, uncini, aghi, fili e spaghi vari. Più un reparto di ortopedia e un altro per i pupazzi in attesa di trapianto, ovvero in cerca di pezzi di ricambio. Medici, psicologi, sarte, educatori lavorano assieme ai parrucchieri. Questi ultimi si dedicano alla medicina estetica, per niente invasiva. «Il servizio è gratuito ed è un prototipo di buona sanità», certifica Manuela Trinci, presidente di Orecchio acerbo, l’associazione culturale che si ispira a un racconto di Gianni Rodari e promuove l’iniziativa. «La speranza è potere insegnare ai nostri figli che anche un difetto o un’imperfezione non deve significare rifiuto, esclusione, abbandono», sottolinea. E avvisa: «Un giocattolo riaggiustato, con la sua piccola o grande cicatrice, può essere ancora più bello, più caro, più nostro».

L’ESPERIENZA

Trinci è psicologa: «Le bambole si utilizzano da sempre in questo ambito». Ed è anche direttore scientifico della biblioteca e della ludoteca del Meyer di Firenze, che ogni anno ospita la “équipe dei peluche e affini” (pandemia permettendo). Alcuni centri per la chemioterapia hanno, invece, Barbie senza capelli e l’Università del South Carolina utilizza i bambolotti, ma senza faccia: le emozioni le disegnano i bambini. Responsabile del programma è la professoressa Susan J. Simonian, specializzata nell’affrontare casi difficili. Così al Bambino Gesù di Roma. Almeno una volta all’anno i piccoli sono protagonisti e invertono i ruoli: a genitori, medici e infermieri praticano flebo di aranciata e somministrano cerotti magici e supermedicine dai gusti non convenzionali. Luca Buzzonetti, responsabile di oculistica, ha invece un suo metodo fantastico “brevettato” nell’ospedale pediatrico, e le marionette nel cassetto. «Evito di usarle, per non dilungarmi troppo», si diverte, lui, per primo. «Comincio sempre la visita raccontando una fiaba, per 10-15 minuti prima di portare i bimbi al microscopio. Che parla di un cavallo dormiglione, abita in una casetta. Il tetto rosso si vede nel mirino dello strumento, l’animale non appare, ma tanti pazienti dicono di averlo visto». E se lo ricordano dopo anni, quando tornano a controllo. Più volentieri del solito.

IL DISAGIO

 «Con la pandemia, l’assistenza è comunque diversa: ridotti i ricoveri, si punta di più su ambulatori e day-hospital per ridurre il rischio di contagio. Ma cresce il disagio soprattutto tra gli adolescenti e i ragazzi», ragiona Malamisura, spiegando che il suo “protocollo” funziona soprattutto con i pazienti dai tre agli otto anni e con le femminucce che hanno un più forte senso materno. Ma anche i maschietti chiedono aiuto per supereroi malmessi. Non solo. Già da diversi anni la terapia con le bambole viene usata anche per gli anziani colpiti da demenza. Con una certa cautela per le implicazioni etiche. Uno studio scientifico, di Gary Mitchell e Michelle Templeton, indica comunque un aumento del benessere, una migliore assunzione di cibo e più alti livelli di impegno con gli altri. Può bastare, a volte, un pupazzo per sentirsi ed essere più umani. 

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