Carlo Conti: «Così il Covid ha cambiato la mia Top Dieci. Mai abbassare la guardia»

Nella Top Dieci di un anno di televisione nell’anno del Covid, Carlo Conti occupa diverse posizioni, in qualche modo, memorabili. Sabato 17 torna quel programma inventato proprio per l’occasione.

Conti prenderà quel treno Firenze-Roma di cui è stato pendolare fisso per anni.

«Per anni arrivano a Termini o Santa Maria Novella e cento persone combattevano per un taxi, ora cento sono i taxi per una sola persona».

Un anno davvero indimenticabile.

«Sono stato il primo a dover interrompere un programma, La Corrida, perché senza il pubblico non aveva senso. Il primo a condurre una premiazione come i David da solo in uno studio, con le cinquine da casa, altro che red carpet. Con Morandi soli nel grande prato verde, per dirla come Gianni, davanti alla basilica di Assisi. Poi il primo a prendermi il Covid e condurre una puntata da remoto di un varietà come Tale e Quale, ma anche a tornare in presenza alla conduzione anche se con la fatica che ti lascia addosso questo maledetto virus. Eppoi l’idea di Top Dieci: con il direttore di Raiuno, Stefano Coletta ci dicevamo che dovevamo fare qualcosa. Per l’intrattenimento della gente impaurita e stanca, per creare una bolla di spensieratezza senza rischiare nulla. In quest’anno ho realizzato progetti che non avrei portato avanti in un anno normale: Affari Tuoi con le coppie che dovevano sposarsi, proprio nell’anno più difficile».

La sua è anche la storia di uno dei 3.7 milioni di contagiati. A fine ottobre…

«Un martedì, di ritorno da una puntata di Tale e Quale, uno dei tanti tamponi positivo. Ero a Firenze e mi sono subito chiuso nella stanzetta da cui le parlo ora, la stessa dalla quale ho condotto la puntata di Tale e Quale con Panariello in studio. Mia moglie e mio figlioletto Matteo (7 anni, ndr) che mi portavano da mangiare alla porta. Poi però i sintomi si sono fatti più seri di una semplice tosse. Un po’ di febbre, spossatezza e dolori muscolari. Ma soprattutto il saturimetro che indicava 90. Non ci ho pensato più su: subito all’ospedale pubblico di Careggi».

Il primo pensiero?

«La paura di aver contagiato le persone più care, mia moglie e mio figlio. Poi Panariello, la Goggi, Salemme e tutti quelli che erano con me nell’ultima puntata pre-Covid di Tale e Quale. Un sollievo aver saputo che non era capitato».

La sua esperienza in ospedale?

«Comincio da Nello, il mio compagno di stanza. Di chiacchiere se ne facevano poche, non c’era tanta voglia di parlare con i tubicini dell’ossigeno. Ma bastava scambiarci un sorriso, mandarci un messaggio. Ce li scambiamo anche oggi. Gli sono stato utile, con la mia notorietà, per convincersi che era nel posto giusto: si è detto, se qui ci sta Carlo Conti devo essere nel posto giusto. La fama può essere utile. Abbiamo condiviso tutto, soprattutto le attenzioni di medici e infermieri».

Li hanno candidati al Nobel per la Pace.

«Giusto. Non li dobbiamo chiamare eroi, vanno bene i premi e le belle parole di tutti ma credo sia più importante che gli si riconoscano più soldi in busta paga. Specie agli infermieri. L’attenzione del Paese deve essere concreta per gente che per fare bene il proprio mestiere deve andare oltre la professionalità: senza cuore quel lavoro bene non lo fai. Nella Top Dieci delle immagini dell’anno mettiamo il Papa solo a Piazza San Pietro, quei camion di Bergamo, ma anche l’infermiera esausta che dorme sul computer e quella con i segni in faccia della mascherina».

Oltre a Nello ha condiviso a distanza la malattia con Gerry Scotti.

«Colleghi anche nella malattia, non solo negli show, ci scrivevamo delle minestrine o delle terapie, su quanto avevamo di febbre o sulla saturazione. Tenerci compagnia ci ha fatto bene».

Video

Cinque mesi dopo come sta, Carlo?

«Ora sto bene, ho ripreso bene. Ma sono stati due mesi duri: il Covid ti lascia stanchezza, deconcentrazione. A Careggi ci hanno richiamato a distanza di qualche mese e le cose stanno andando nella direzione giusta: mi hanno preso in tempo per non intaccare i polmoni. Ho ancora un livello di anticorpi alto, ma non mi distraggo. Mascherina, distanziamento, norme di prevenzione: si deve stare attenti anche solo ad essere portatori».

Da poche settimane ha compiuto 60 anni e ha un figlio piccolo.

«Una volta capito che non avevo contagiato nessuno, in ospedale sono stato preso come tanti da una sorta di pudore. C’era il distacco fisico, ma anche la difficoltà di farmi vedere nelle videochiamate con i tubicini dell’ossigeno. Non volevo impressionare i miei. Quando mi hanno riportato in ambulanza a casa, sono sceso fuori dal cancello e rientrare da solo. Ho cercato di ovattare Francesca e Matteo. Ho avuto un altro pensiero, spesso, in quei giorni…»

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Quale?

«Ho pensato ad un amico adorato che ho perso tre anni fa, all’improvviso. Divenuto papà tardi come me. Fabrizio Frizzi: ho pensato tante volte a lui. E pregato, ho pregato di più: capita quando hai paura. Ma mi sono anche sorpreso di me». In che senso? «Che ho scoperto di pregare molto per gli altri: i malati, chi studiava per i vaccini, i medici. Per gente che non conosco. In questo la malattia ti cambia scala dei valori».

Come si tiene in forma lo splendido sessantenne Carlo Conti?

«Il mio maestro è Fiorello: lui ci è arrivato prima e in splendida forma. E mi ha ammonito subito nel giorno del compleanno. “Ora arrivano gli auguri, poi i pensieri”. Mi ha suggerito integratori e, soprattutto, una camminata svelta, come quando sei in ritardo ad un appuntamento. Funziona anche come post Covid. Poi ci sono i consigli di Carlo Verdone: lui era nella puntata in smartworking e già mi “prescriveva” le cose giuste, da medico. Ogni tanto mi manda consigli premurosi».

 

Nella Top Dieci di quest’anno mettiamo le cose positive.

«Vivere più tempo a contatto con Francesca e Matteo, prima e dopo il ricovero. Sono un fortunato e ho una bella casa in cui magari ritagliarmi momenti belli. Ma si ha anche imbarazzo ad essere leggeri se pensi alla Top Mille di cose brutte con cui stiamo combattendo. Roma, Venezia, la mia Firenze vivono di turismo e sono al collasso. Ho amici e parenti tra ristoratori, liberi professionisti: la salute è fondamentale, l’economia anche. E sono collegate».

Il livello di stress e disagio mentale è cresciuto a dismisura nel Paese.

«Se non sai come pagare il mutuo, se sei costretto in due camere e cucina, se non hai di che sfamare i tuoi perdi il sonno. Poi ti ammali di sicuro».

Un problema serio che ci porteremo avanti è legato a bambini e giovani senza scuola in presenza da un anno.

«Matteo è piccolo e facendo la prima elementare è sempre andato a scuola, non abbiamo sperimentato la Dad, ma una cosa la so: la scuola è presenza. Io lo vedo che a Matteino manca la presenza fisica dei suoi compagni: anche nel darsi una spinta, quando si gioca. Perché, mi creda, i piccoli hanno capito tutto in fretta, più di noi adulti. Sono serissimi: lavarsi le mani, mascherina su… Mi preoccupa molto, invece, come si guarderanno ragazzi e professori, dopo… Come torneranno a rapportarsi, anche di come torneranno a litigare».

Quando lei si è ammalato uscivamo dall’illusione di un’estate in cui la seconda ondata non era in prima pagina. Forse proprio la sua positività ha svegliato tanti.

«Sono uno che vede sempre il bicchiere mezzo pieno: si sta correndo sui monoclonali, perché da malato sapere che esistono farmaci non solo per l’effetto del virus conforta. E il miracolo del vaccino arrivato così velocemente fa capire quanto importante sia la ricerca. Sono da anni testimonial dell’Airc, so cosa significa il lavoro oscuro quotidiano di chi fa ricerca. Non penso ci siano dubbi sul fatto di immunizzarsi, la ripartenza inglese, israeliana e americana ce lo dice. E serve un metodo militare per farlo più velocemente». 

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