Lotta al Parkinson, un aiuto dall'elettro-stimolazione nel cervello

Nell’immaginario collettivo la malattia di Parkinson è quella che “ti fa tremare le mani”.

Nella realtà le cose sono molto più complesse e proprio per questo in tutta Italia ci sono centri con team multidisciplinari che ogni giorno affrontano la malattia in tutte le sue sfumature. Uno di questi team è quello guidato dalla dottoressa Mariachiara Sensi, responsabile del Centro Disordine del Movimento all’Arcispedale Sant’Anna di Ferrara. È proprio la dottoressa Sensi a tratteggiare il profilo della malattia di Parkinson per la sua caratteristica di essere un «disordine del movimento» e per il sintomo predominante, che è «la lentezza del movimento», alla quale si associa «in maniera variabile la rigidità o il tremore a riposo». Tuttavia, spiega Sensi, il Parkinson non è solo un disordine del movimento.

LE SPIE

Dietro questo nemico c’è un universo profondo, per alcuni versi ancora inesplorato. Oggi, tuttavia, i neurologi hanno imparato a riconoscere alcuni meccanismi e segni precursori della malattia. «Negli ultimi anni è diventato chiaro che accanto ai sintomi motori – dice la specialista – ci sono sintomi non motori, che spesso precedono l’esordio della malattia». La stitichezza, il disturbo dell’olfatto, ma anche il dolore o disturbi di tipo depressivo possono precedere di anni l’esordio motorio e quindi la diagnosi. Solo nella fase conclamata della malattia compaiono problemi di tipo motorio, e successivamente in fase avanzata sono preminenti i disturbi cognitivo-comportamentali. Ma qual è la fascia d’età nella quale solitamente si ha un esordio della malattia di Parkinson? «Il picco di incidenza delle forme tipiche si ha nella maggior parte dei casi intorno ai 65 anni, in una minoranza dei casi si ha un esordio precoce, tra i 50 e i 55 anni. Solo un 2-5 % ha un esordio giovanile, prima dei 25 anni». Del Parkinson non se ne conoscono a fondo le cause. Mariachiara Sensi spiega che di certo la genetica gioca un ruolo importante, non a caso avere una familiarità significa avere un rischio aumentato di contrarre la malattia. Studi dimostrano poi una correlazione tra il Parkinson e fattori ambientali quali l’uso di pesticidi, solventi o la contaminazione delle acque. Fattori che di certo espongono ad un maggior rischio.

INTERVENTO

Per “curare” il Parkinson il primo approccio è quello farmacologico. Nei casi complessi, nei quali i medicinali non bastano più o addirittura hanno portato a lungo andare ad effetti indesiderati, si può ricorrere alla stimolazione cerebrale profonda. «Si tratta – avverte Sensi – di un valido aiuto di tipo sintomatico, che non incide sul processo di neurodegenerazione, bensì sui sintomi motori. Ad esempio, alleggerisce e controlla bene la lentezza del movimento, il tremore o la rigidità». Semplificando non poco, «la stimolazione cerebrale profonda si realizza posizionando elettrocateteri nel nucleo che si trova al di sotto del talamo (subtalamo) e che viene stimolato bilateralmente con alte frequenze. Questo consente di modulare l’attivazione di circuiti patologici e quindi restaurare in maniera più naturale il movimento». Criterio essenziale è che vi sia una diagnosi di malattia di Parkinson per così dire “consolidata”, quindi che il paziente abbia risposto in maniera sostenuta e prolungata alla terapia farmacologica. Piccola curiosità, quello della dottoressa Sensi è un team dalla connotazione fortemente al femminile, dimostrazione che sono sempre più le donne che scelgono di dedicarsi alla medicina e in ambito clinico e di ricerca a forme innovative e pionieristiche. Anche se, lo ricorda proprio Mariachiara Sensi, «quando si guarda al merito, non esiste una differenza di genere, bensì di competenze».

Potrebbe interessarti anche

Articoli correlati