Raffaele Macchiarelli, gastroenterologo: «Senza l'uso del bisturi si può salvare anche il pancreas»

Raffaele Macchiarelli, gastroenterologo: «Senza l'uso del bisturi si può salvare anche il pancreas»
di Graziella Melina
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Giovedì 13 Maggio 2021, 06:00 - Ultimo aggiornamento: 13:22

 É bastato un intervento in endoscopia, senza ricorrere ad incisioni, e il pancreas di un ventenne è stato rimesso in funzione. Grazie all’utilizzo di uno stent metallico messo a punto dai ricercatori di Boston Scientific, il team guidato da Raffaele Macchiarelli, direttore di Gastroenterologia e Endoscopia operativa dell’Azienda Ospedaliera Universitaria Senese, è riuscito così a salvaguardare una ghiandola vitale del nostro organismo, senza doverne asportare una parte.

«Non solo il giovane ha evitato un intervento complesso – rimarca Macchiarelli – ma ora non si ritrova nemmeno a dover fare i conti con menomazioni importanti».

Di che tipo di intervento si trattava?

«Un ragazzo poco più che ventenne subisce un incidente stradale in pieno lockdown. Arriva al Pronto Soccorso con un politrauma, una volta superata la fase acuta, è stato affidato a Gastroenterologia perché residuava una raccolta addominale, che è stata studiata mediante esami strumentali non invasivi. Si è visto così che era presente un accumulo di liquido in addome che prendeva sempre maggiori dimensioni, si autoalimentava e che derivava dalla rottura del dotto pancreatico».

Una situazione delicata.

«Il pancreas è una ghiandola che è situata nel nostro organismo in una posizione ben nascosta, difficile da raggiungere e da studiare con comuni metodiche. La raccolta di liquido del giovane derivava dalla rottura del dotto ghiandolare del pancreas. Consideriamo che ogni ghiandola produce una secrezione e questa viene convogliata nella sede fisiologica mediante canalicoli fino ad arrivare ad un condotto più grande che è quello principale che svuota il contenuto della ghiandola».

In genere come si interviene?

«Se c’è una rottura, in questo caso nella parte più periferica della ghiandola ossia la cosiddetta coda del pancreas, si effettua un intervento chirurgico che però è molto invalidante. In quella posizione, infatti, viene secreta l’insulina che gestisce il metabolismo glucidico, per cui un paziente che viene privato di questa parte del pancreas è destinato ad avere un diabete».

Quindi siete riusciti a intervenire con una tecnica endoscopica?

«Si tratta di una opzione un po’ più avanzata e ci permette di intervenire attraverso lo sbocco dell’intestino.

Riusciamo così a studiare in via retrograda sia il pancreas sia la via biliare. Accediamo cioè allo sbocco pancreatico, facciamo passare una protesi che, se riesce a ricostituire la continuità del dotto facendo da ponte, fa sì che il dotto si ricostituisca, si rimargini e guarisca».

È un’opzione preferibile insomma?

«Certo, rispetto a quella chirurgica senz’altro. Nel caso specifico, però, purtroppo il dotto pancreatico aveva una discontinuità netta, e quindi far passare un filo guida e poi una protesi era pressoché impossibile».

Quindi come avete fatto?

«Abbiamo optato per la terza soluzione, uno stent innovativo messo a punto da Boston Scientific. Non è molto comune perché sono pochi i centri che effettuano questo tipo di intervento, da poco tempo eseguito. Sostanzialmente, sempre per via endoscopica attraverso una sonda, che permette anche una visione ecografica della parete e degli organi a contatto con essa, abbiamo potuto osservare la situazione a ridosso delle pareti dello stomaco, della raccolta di liquido, e quindi il pancreas».

Qual è la novità di questo approccio?

«Questi strumenti sono dotati di un canale operativo, attraverso il quale facciamo passare degli accessori. Abbiamo utilizzato una protesi metallica a maglie ricoperte, che esercita una trazione tra due diversi compartimenti. In questo caso è stata posizionata tra lo stomaco e la raccolta di liquido. E così è stato possibile che fosse drenata all’interno dello stomaco».

Quindi non serve l’intervento chirurgico?

«No, il paziente viene sottoposto ad una procedura che dura pochi minuti. I tempi sono rapidissimi. Grazie a questi nuovi dispositivi riusciamo così a salvare pazienti da situazioni molto complesse e gravi». © 

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