Diabete, la ricerca pensa più all'uomo e a rimetterci è lei

Il diabete colpisce circa quattro milioni di italiani, ma in modo molto diverso tra gli uomini e le donne. In lei, le minacce per lo sviluppo della patologia sono rappresentate da menopausa precoce, diabete in gravidanza e sindrome dell’ovaio policistico. Per le donne che lavorano, la minaccia maggiore è rappresentata dallo stress, che raggiunge il picco verso i 45 anni, al top delle performance lavorative e sociali, predisponendole alla comparsa di diabete e di malattie cardiovascolari. Anche le complicanze della malattia impattano in maniera più pesante su di lei.

 

I FATTORI DI RISCHIO

Il sovrappeso e l’obesità sono il fattore di rischio di diabete più importante tra le donne (ma la maggior parte di loro non lo sa) mentre il consumo di alcol ha un ruolo preponderante negli uomini. Il fumo, invece, aumenta il rischio in entrambi i sessi. Un’analisi approfondita del fenomeno è stata fatta al congresso “Panorama Diabete” della Società italiana di diabetologia che si è concluso nei giorni scorsi. «Il diabete di tipo 1, dopo la pubertà, è più frequente tra i maschi – ricorda la professoressa Raffaella Buzzetti, ordinario di Endocrinologia, Università La Sapienza di Roma – e questo lo rende l’unica malattia autoimmune più comune nell’universo maschile, che in quello femminile. Con quello di tipo 2, da adulti, le condizioni cambiano». Le donne, infatti, con la glicemia alta sono più fragili di fronte alla malattia rispetto agli uomini. «Se nella donna, questa condizione aumenta soprattutto il rischio di malattie cardiovascolari (+44%) e di ictus (+27%) – ricorda la professoressa Katherine Esposito, ordinario di Endocrinologia Università della Campania Vanvitelli – nell’uomo aumenta molto il rischio di ulcere e del cosiddetto piede diabetico, che può portare all’amputazione. Un’altra complicanza molto più frequente nel genere femminile è la depressione. Tra l’altro, diabete e depressione, si peggiorano l’uno con l’altra».

I CAMPANELLI D’ALLARME

 Fino alla menopausa, la donna è più protetta dalla comparsa di diabete, ma poi risulta più esposta alle complicanze di questa malattia. Anche per motivi socio-culturali. I campanelli d’allarme della malattia (sentire sempre sete, urinare di frequente, stanchezza, visione offuscata, ecc) sono gli stessi per lei e lui ma, le donne tendono a minimizzarli o ad attribuirli magari allo stress. Così arrivano tardi dal medico. Le donne si sottopongono meno degli uomini agli screening e anche dopo la diagnosi tendono ad essere sotto-trattate per il diabete e le sue complicanze. In caso di malattie cardiovascolari ad esempio, alle donne vengono prescritti meno farmaci salvavita (beta-bloccanti, statine, ACE-inibitori, aspirina o anticoagulanti) e fanno meno angioplastiche e riabilitazione cardiaca dopo un infarto. Le procedure terapeutiche hanno bisogno di una importante revisione di genere. Anche l’effetto dei farmaci, come i nuovi anti- diabete, non è stato studiato a fondo nelle donne. Nei trial sui nuovi farmaci anti-diabete (SGLT-2 inibitori e GLP-1 analoghi), molto efficaci nel ridurre le complicanze, le donne rappresentano in genere solo un terzo della popolazione studiata. Il risultato di tutte queste differenze è che le donne con diabete “perdono” in media 5,4 anni di vita rispetto alla popolazione generale, contro i 4,5 anni degli uomini. «È necessario pensare ad una formazione specifica in medicina di genere – propone la professoressa Alessandra Dei Cas, Università di Parma – e fare ricerche che tengano conto delle differenze biologiche, anche nella risposta ai farmaci. Fino ad arrivare a linee guida di gestione del diabete e di altre malattie pensate appositamente per le donne». 

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