Allarme sonno, 12 milioni di italiani non riescono a dormire. Covid e guerra condizionano l'inconscio

Sono riusciti ad entrare dove neppure noi riusciamo ad affacciarci, nel nostro inconscio.

Pandemia e guerra hanno invaso con prepotenza l’intangibile, quella parte che sfugge al nostro controllo ma ci accompagna quando dormiamo. Quando il corpo, come chiede il nostro organismo, riposa e il cervello lavora. Quando, senza disturbare si rigenera, “offre” sogni, lavora sulle connessioni cerebrali, rafforza i ricordi, fa “pulizia”. Andare a letto e dormire non significa, dunque, solo riposare. Da marzo 2020 la protezione, anche notturna, del nostro cervello è stata abbattuta. Da incursioni ansiogene, insonnia, rosari di incubi e risvegli improvvisi.

LA CLASSIFICAZIONE

Hanno superato i dodici milioni gli italiani che “litigano” con il sonno, 25-35% della popolazione assume saltuariamente un farmaco per dormire. Cifra aumentata fino al 40-45% dall’emergenza Covid. L’Agenzia italiana del farmaco rivela una crescita dell’uso di ansiolitici senza precedenti. Le dosi consumate dagli italiani nella primavera del 2020 e 2021 sono raddoppiate rispetto a quella del 2019. Durante le estati, triplicate. Gli esperti del sonno, più di duemila, che a marzo si sono riuniti a Roma per il congresso mondiale parlano di un “grave allarme per le persone, la società e l’economia”. In termini di impatto globale l’insonnia è classificata è classificata dall’Oms come undicesimo disturbo cerebrale. Ora, ovviamente, potrebbe essere salito di qualche posto Perché la realtà, il suo forte impatto sul quotidiano, si è portata via anche un generale potere ristoratore del dormire. Più penalizzate le donne degli uomini. «Chi dorme poco e male non ha i livelli di attenzione e vigilanza adeguati e neppure la capacità di operare scelte e decisioni corrette – spiega Luigi Ferini Strambi, Ordinario di Neurologia presso l’Università Vita-Salute di Milano e direttore del Centro di Medicina del Sonno dell’Irccs Ospedale San Raffaele – Ricordiamo che il sonno è un evento fisiologico. I centri nervosi del sonno, appunto, sono localizzati a livello cerebrale nelle aree più profonde del cervello. Quando andiamo a letto si verifica una sorta di gara tra i centri della veglia, che vogliono continuare a farci restare ad occhi aperti e i centri del sonno, che vogliono portarci all’addormentamento. Quando non si riesce a spegnere i centri della veglia e ad abbandonarsi a quelli del sonno, si instaura l’insonnia. Prima di addormentarci deve iniziare a prevalere il sistema vagale. Quel sistema che fa rallentare l’attività del cuore. Se questo non si verifica si fa più fatica a prendere sonno».

TRATTAMENTI

Ed è proprio su questa “battaglia” che i nuovi trattamenti stanno cercando di intervenire. Tra le molecole di cui si è discusso al summit mondiale anche quelle che agiscono sulle orexine, nostre sostanze coinvolte nella regolazione del sonno-veglia e svolgono un ruolo nel mantenere svegli. Sulla rivista The Lancet Neurology sono usciti i risultati degli studi di un doppio antagonista dei recettori dell’orexina che permetterà di far “vincere” l’addormentamento. L’insonnia, dicono gli esperti, non è una patologia della notte ma delle ventiquattro ore. L’impatto sulla giornata e sulle patologie conseguenti è alto. A livello dell’organismo, poi, oltre allo stato confusionale, l’irritabilità e il cattivo umore, aumentano i rischi di ipertensione, diabete, disturbi d’ansia e depressione, obesità. «Da qui, l’importanza di non sottovalutare il disturbo. Tant’è vero – aggiunge Ferini Strambi – che diversi studi hanno dimostrato come gli insonni tendono ad utilizzare molto di più a chiedere aiuto al medico per diverse malattie rispetto a chi dorme bene».

PREVENZIONE

Curare l’insonnia con degli interventi ad hoc potrebbe aiutare a prevenire e a curare il diabete: soffrire di disturbi del sonno aumenta il rischio di glicemia alta. Trattare l’insonnia potrebbe sortire effetti protettivi pari a quelli ottenibili con un intervento anti-diabete specifico. Come dimagrire parecchi chili. È quanto riferiscono ricercatori della University of Bristol in occasione di un lavoro pubblicato sulla rivista Diabetes Care. Gli esperti hanno tenuto conto di informazioni fornite da 336.999 adulti il cui Dna è custodito nella biobanca britannica, in merito a diversi tratti relativi al sonno (orario di addormentamento, ore dormite per notte, difficoltà ad addormentarsi, risvegli notturni etc). Gli esperti hanno incrociato tutti questi tratti con dati genetici e così hanno visto che chi è incline ad avere difficoltà ad addormentarsi e a rimanere addormentato, ha un rischio maggiore di glicemia alta.

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